Da poco sveglia. Il mio corpo ignora l'ora legale, tormento vissuto per anni, per tutta la vita, da quando è stata istituita. Pensavo che nel 2020 non ne avrei tanto sofferto perché comunque l'orologio avrei potuto ignorarlo, ma non avrei mai immaginato un contesto simile.
Ho sognato. Di solito non lo faccio mai. o non me ne ricordo. Chi lo sa. Lo facevo da ragazza. Sognavo le mie paure e i miei sogni.
Da tempo immemore non lo faccio più: che non abbia più sogni né paure? Tutt'altro.
Sognare è la rottura col razionale; il collegamento con la vita irrazionale, con l'inconscio, con l'iceberg che sottende il non visibile che è la nostra vita reale. Sto parafrasando la prospettiva dei discepoli di Freud; Jung in particolare.
"E' terribile non sognare; meglio fare incubi tutte le notti, che non sognare mai; significa che sei scollegato, che hai rotto il rapporto con quello che realmente sei". Sento mesi fa questa frase in un seminario spirituale che mi sorprende, che mi induce a riflettere, anche se mi dico che i guru non esistono o che è meglio non assumere in toto le affermazioni categoriche.
Ebbene, ho sognato! Mi sveglio con il sogno tra le ciglia, concluso in sé, nel suo essere episodico, ma interrotto dal mio risveglio.
Ero con i miei due figli maschi, nel sogno sono poco più che adolescenti. Eravamo in una località di mare, di cui ero cosciente nel sogno, ma il cui ricordo è svanito nell'aprire gli occhi. Eravamo saliti sul belvedere che consisteva in un terrazzo enorme pavimentato, incastonato sulla collina con la ringhiera di ferro battuto. Quindi sotto si vedeva interamente uno strapiombo che dava sul mare; di un turchese da cartolina, col candido merletto di spuma che ornava le costa rocciosa.
Mi sporgo leggermente per godere di tanta meraviglia, ma sento il sacro e antico terrore del vuoto. Sento anche i figli:
-Mamma!- Una parola sola per dire: -Attenta!
Già perché da tempo i ruoli si interscambiano.
Li guardo, uno a destra, l'altro sulla mia sinistra; anche loro si beano del panorama, ma con prudenza. Si appoggiano alla ringhiera col piede, flettendo il ginocchio; evitano di aderire col corpo.
Ce ne andiamo, attraversando il bianco terrazzo cosparso di acqua salmastra e di piccoli vasi rettangolari di geranei sparsi qua e là.
Cosa ho attinto dal mio inconscio? Intanto ho fissato il sogno che sarebbe svanito con la tazzina del caffé.
Sento i merli sul terrazzo che vengono a banchettare festosi mentre si industriano a nidificare. Sono disturbati solo dal rumore dei vetri rimossi dal grande furgone del riciclo. Già, oggi è martedì.
Ho sognato. Di solito non lo faccio mai. o non me ne ricordo. Chi lo sa. Lo facevo da ragazza. Sognavo le mie paure e i miei sogni.
Da tempo immemore non lo faccio più: che non abbia più sogni né paure? Tutt'altro.
Sognare è la rottura col razionale; il collegamento con la vita irrazionale, con l'inconscio, con l'iceberg che sottende il non visibile che è la nostra vita reale. Sto parafrasando la prospettiva dei discepoli di Freud; Jung in particolare.
"E' terribile non sognare; meglio fare incubi tutte le notti, che non sognare mai; significa che sei scollegato, che hai rotto il rapporto con quello che realmente sei". Sento mesi fa questa frase in un seminario spirituale che mi sorprende, che mi induce a riflettere, anche se mi dico che i guru non esistono o che è meglio non assumere in toto le affermazioni categoriche.
Ebbene, ho sognato! Mi sveglio con il sogno tra le ciglia, concluso in sé, nel suo essere episodico, ma interrotto dal mio risveglio.
Ero con i miei due figli maschi, nel sogno sono poco più che adolescenti. Eravamo in una località di mare, di cui ero cosciente nel sogno, ma il cui ricordo è svanito nell'aprire gli occhi. Eravamo saliti sul belvedere che consisteva in un terrazzo enorme pavimentato, incastonato sulla collina con la ringhiera di ferro battuto. Quindi sotto si vedeva interamente uno strapiombo che dava sul mare; di un turchese da cartolina, col candido merletto di spuma che ornava le costa rocciosa.
Mi sporgo leggermente per godere di tanta meraviglia, ma sento il sacro e antico terrore del vuoto. Sento anche i figli:
-Mamma!- Una parola sola per dire: -Attenta!
Già perché da tempo i ruoli si interscambiano.
Li guardo, uno a destra, l'altro sulla mia sinistra; anche loro si beano del panorama, ma con prudenza. Si appoggiano alla ringhiera col piede, flettendo il ginocchio; evitano di aderire col corpo.
Ce ne andiamo, attraversando il bianco terrazzo cosparso di acqua salmastra e di piccoli vasi rettangolari di geranei sparsi qua e là.
Cosa ho attinto dal mio inconscio? Intanto ho fissato il sogno che sarebbe svanito con la tazzina del caffé.
Sento i merli sul terrazzo che vengono a banchettare festosi mentre si industriano a nidificare. Sono disturbati solo dal rumore dei vetri rimossi dal grande furgone del riciclo. Già, oggi è martedì.