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mercoledì 25 novembre 2020

25 novembre: giornata universale contro la violenza sulle donne

Generosità














Tenacia






















Resilienza

























Ho espresso nei post precedenti il mio legame quasi ancestrale con l'ulivo.

Questi pochi aspetti rilevati negli ulivi secolari, sono secondo me identitari di ogni donna: la natura, i ruoli, la società, la sua storia personale e la Storia, hanno fatto sì che ognuna di noi ci facesse i conti; per costruirli o per potenziarli, fra mille fragilità e cadute, mai definiti per sempre, ma sempre in divenire.

La conclusione è solo una: Rispetto; come per tutti gli esseri viventi e non viventi.

Grazie a chi è già orientato verso questa prospettiva.

PS: olivo: olea - oleae, prima declinazione, genere femminile, secondo la grammatica latina ;-)

sabato 21 novembre 2020

La giornata dell'albero

Mi è sempre stato caro l'albero.

Ne parlo da un punto di vista del tutto personale, tralascio gli elementi oggettivi della funzione dell'albero, non perché siano secondari, anzi, preferendo in questa sede il mio rapporto con l'albero.

Nella prima infanzia, mi incantavo a guardarli quando erano scossi dal vento. Ho abitato in campagna per i primi otto anni di vita. Quando il mugghio del vento mi raggiungeva, non potevo evitare di uscire a guardare le querce che costeggiavano la strada comunale adiacente casa mia.

Mi incantavo incurante delle percosse e delle spinte inflittemi,  a guardare assorta quelle chiome stravolte, scomposte, battute e mi convincevo un po' sgomenta e nel contempo affascinata, che quegli alberi erano inquieti, arrabbiatissimi col mondo e con gli uomini scatenando quel vento impetuoso che alzava polveroni, portava via cappelli, ostacolava il cammino e così via.

Da giovane studentessa, lo studio di Jean Piaget mi informava che quella mia teoria infantile si chiamava "animismo": la tendenza ad attribuire pensiero e coscienza a tutto ciò che è in movimento, scambiando la causa con l'effetto. Questo aggancio con i miei primi anni di vita hanno fatto di Jean Piaget e di tutti i suoi seguaci e sviluppatori di pensiero, Jerome Bruner in particolare, il mio faro pedagogico nel campo della mia vita professionale.

Ho sempre considerato l'albero una creatura vivente: l'osservazione dei suoi mutamenti e persistenze hanno fatto sì che scorgessi la sua profonda vitalità, ancor prima e oltre tutte le conferme scientifiche che ho potuto acquisire.

Mio padre, alla nascita dei suoi tre nipoti, soleva piantare alberi, gli ulivi soprattutto. Ne parlo in questo post: l'albero è foriero di speranza, in questo caso anche di nutrimento per il corpo e per lo spirito.

Non ho ancora assaporato la gioia della nascita dei nipotini; ma quest'autunno, seguendo i consigli del giovane agronomo del mio paese, ho messo a dimora 11 giovani piante: 9 leccini e 2 pendolini per riempire gli spazi che ospitavano le viti. In autunno, piuttosto che a marzo: la latitudine, i cambiamenti climatici lo consentono, cosicché le piantine affronteranno la prima fase della crescita, con temperature sostanzialmente miti, irrigate naturalmente dalle piogge, evitando la calura estiva.












 Piccolo leccino












Un giovane pendolino


Il nome richiama i suoi rami leggermente penduli: è un impollinatore, mi ha detto l'agronomo. Poche unità sono sufficienti per potenziare la fioritura di un uliveto.

Un gesto lungo e paziente la piantumazione: un buco di un metro cubo scavato nella terra, e poi riempito della stessa terra che sarà soffice, aerata, ossigenata; qualche settimana e si procede all'interramento. Tre, cinque centimetri più in profondità rispetto al pane di terra. Un robusto sostegno per accompagnare la nuova pianta nella crescita, pochi litri di irrigazione e ora si attende con pazienza. Tutto, a parte lo scavo, affidato a mezzi meccanici, è stato svolto da me e mio marito.

Era il 23 di ottobre, un giorno di intervallo nella raccolta, nella fase della luna crescente, come raccomandavano i miei nonni e bisnonni. Aiuta la crescita, dicevano. E' una diceria ingenua? Poco importa, in questo rituale sono presenti anche loro.

Un gesto di amore, ma soprattutto un gesto di speranza: ora le pianticelle sono affidate al tempo, al sole, al vento, a madre terra, alle nostre cure e a quelle di chi verrà dopo di me.

Intanto, prima di diventare l'Abruzzo zona rossa, ho potuto constatare il bel verde delle foglie, qualche timido germoglio, la fierezza del portamento. Il primo step, lo stress da adattamento, è andato felicemente a buon fine! Dio sia lodato!

venerdì 20 novembre 2020

Giornata universale dei diritti dell'infanzia e dell'adolescenza

 Per tutti gli educatori:

"Se c’è qualcosa che vorremmo cambiare in un bambino, dovremmo prima esaminarla e vedere se non è qualcosa che faremmo meglio a cambiare in noi stessi." (Carl Gustav Jung)

Quando veniamo agganciati da qualcosa che ci disturba, generalmente accade perché quel qualcosa è parte di noi; appartiene a quella zona d'ombra di cui forse non siamo consapevoli o non accettiamo. Di qui la nostra reazione.

Prenderne coscienza, ma soprattutto farci i conti, significa diventare persone migliori.

Cosa niente affatto semplice: accettarsi e amarsi anche nei difetti.  


sabato 14 novembre 2020

"Futura"

 


Compie 40 anni l'album "Lucio Dalla" edito nel 1980.

Questa canzone nasce davanti al muro di Berlino, in piena guerra fredda. Ce lo racconta Lucio stesso in un'intervista. Mezz'ora davanti al punto di passaggio tra Berlino Est e Berlino Ovest, seduto su una panchina; e tra le volute di una sigaretta nasce un testo, un progetto di speranza di due giovani amanti, uno di Berlino Est l'altro di Berlino Ovest: un figlio, e se sarà una femmina si chiamerà Futura.


Fuori della circostanza, e oltre la sceneggiatura, il testo è e rimane un inno alla speranza.

La speranza che deve ispirarci sempre anche in questo contesto.

Chissà  chissà domani,
su che cosa metteremo le mani.

venerdì 6 novembre 2020

Primo novembre

Pubblico a posteriori; la raccolta delle olive mi tiene lontana dalla casa di residenza. Qui in campagna,12 giorni senza il televisore che ha deciso di abbandonarci, e senza rete cellulare se non fuori casa in strada o al piano di sopra nelle camere.









E' la festa di Ognissanti; urge sospendere la raccolta, non per una rigida obbedienza ad un precetto, ma perché così facevano i miei genitori, i miei nonni e i miei bisnonni e ovviamente tutte le generazioni precedenti. E' importante, in questo giorno, riconnettersi con le proprie dinastie per avvertire e ripristinare quel vincolo di unità profonda, difficile da veicolare con le parole.

Mi avvio lungo il viale verso il cimitero per assistere alla celebrazione.

Queste foglie e quella panchina che rimembra gli incontri, ma che fiduciosa ne attende di nuovi, mi fanno respirare aria di autunno, aria di riposo e di gestazione, di costruzione di nuova energia creatrice.

C'è mercato all'aperto di domenica. Ma stavolta sono pochi gli ambulanti che allestiscono in bella mostra la loro merce; i più hanno condiviso la mia decisione di sospensione, pochi i curiosi e gli acquirenti, forse relegati a casa dalla prudenza covid 19.



 











Arrivo alla piccola chiesa attigua al cimitero: la Madonna della Cona. La celebrazione avverrà all'aperto, sedie distanziate, sufficienti per la piccola comunità. La temperatura è freddina ma tollerabile. Omelia semplice ma toccante: il commento alla pagina delle Beatitudini.

Tutte le celebrazioni si svolgono qui dal 6 aprile 2009, giorno del terremoto; la chiesa parrocchiale è ancora inagibile.











Al ritorno, "il fuoco buono" per tutto il pomeriggio, mentre mi diletto con l'uncinetto e la cucina.

Buon novembre a tutti.

giovedì 5 novembre 2020

Un pensiero per Gigi

 E mo, chi ce lo ridà un altro Gigi Proietti? Un grande su ogni palcoscenico, con qualunque testo. Unico.

Sì, già mi manca perché io gli volevo bene, io gli voglio bene. E questo è per lui.
Giggi nun fa’ l’infame, àrzate, annamo.
E che nun ce lo so che tu sei stanco?
So stanca puro io, me vedi? arranco,
ma si te po servì te do ‘na mano.
Così me fai ‘ncazzà, Giggi lo sai
me pija brutto, perdo la pazienza,
te vengo a pìa, io nun ce resto senza
de te, me manchi Giggi, già me manchi assai.
Giggi nun so che ddi’, so solo piagne.
Me la vorebbe prenne co quarcuno,
me guardo ‘ntorno: tutta Roma piagne.
Te vorebbe strillà, pijatte a botte,
ma ce lo so che nun è corpa tua.
È la bojaccia Morte che ce fotte.
Marina Pierani


Questa poesia è stata scritta dall'autrice ed amica del blog "Inezie essenziali"; mi piace il tono diretto e senza preamboli, così come sarebbe paiaciuto anche a lui essere apostrofato.

Sono già state spese infinite parole di addio, di saluto e di rimpianto su questo artista senza aggettivi a cui ne sottolineo due già menzionati da Marina: unico, unico e irripetibile!

Desidero ricordarlo attraverso uno sceneggiato televisivo degli anni Settanta: "L'amaro caso della baronessa di Carini"; in quell'occasione mi entrò nel cuore. Non vi partecipò in qualità di attore, ma come interprete della colonna sonora, la ballata omonima per l'appunto.

Il ricordo della trama per me sconvolgente allora, ma anche adesso, era veicolato soprattutto dalla sua voce profonda ed appassionata che non solo canta, ma recita; è sul palcoscenico come un cantastorie.
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«Chianci Palermu, chianci Siracusa        Pingi Palermo, piangi Siracusa

a Carini c'è lu luttu in ogni casa.              

Attorno a lu Casteddu di Carini,

ci passa e spassa nu beddu cavaleri.

Lu Vernagallu di sangu gintili

ca di la giuvintù l'onuri teni.


"Amuri chi mi teni a tu' cumanni,

unni mi porti, duci amuri, unni?"


Vidu viniri 'na cavallaria.

Chistu è me patri chi veni pi mmia,

tuttu vistutu alla cavallarizza.

Chistu è me patri chi mi veni a 'mmazza.


Signuri patri, chi vinisti a fari?

Signora figghia, vi vegnu a 'mmazzari.


Lu primu corpu la donna cadiu,

l'appressu corpu la donna muriu.

Nu corpu a lu cori, nu corpu 'ntra li rini,

povira Barunissa di Carini.»